Native Advertising è la definizione che si usa per indicare i contenuti promozionali inseriti ed armonizzati nel contesto dei contenuti offerti al lettore, in modo che ne abbia lo stesso aspetto e sia percepita in modo fluido, senza interrompere il messaggio principale, ma integrandolo.
Vi ricorda il vecchio advertorial o il publiredazionale?
Anche a noi, ma il tema è attuale e merita alcune considerazioni.
Dal rapporto #stateofnativeadvertising2014 pubblicato da Hexagram, si legge che negli Stati Uniti il 62% degli editori offre attualmente la possibilità di effettuare native advertising ed un ulteriore 16% sta pianificando di attivare l'opzione entro la fine del 2014. Il 41% dei brand lo utilizza, con un ulteriore 20% che lo sta pianificando per i prossimi mesi. Le forme più popolari di native advertising sono i blog posts (65%) articoli veri e propri (63%) e Facebook.
Ma di cosa si tratta, in termini pratici? La locuzione native advertising si riferisce ad una forma pubblicitaria che anziché interrompere la fruizione di contenuti da parte del lettore (ad esempio tramite pagine pubblicitarie sulla carta stampata, oppure tramite banner, pop up etc sui siti web) si inserisce nei contenuti stessi, integrandosi completamente sia dal punti di vista dell'aspetto che della forma. Nel caso di un magazine online, ad esempio, il native advertising è rappresentato da un post sponsorizzato in cui si descrive, recensisce e promuove un determinato prodotto o servizio.
Anche Facebook offre validi strumenti di native advertising: mi riferisco ai post sponsorizzati, che invece di comparire a sinistra della vostra pagina, come gli annunci a pagamento, appare all'interno dello stream di notizie e post condivisi dai vostri amici, senza quindi interrompere il processo di fruizione dei contenuti social da parte vostra, ma inserendosi nel flusso di notizie in modo fluido ed armonico. Facebook ci comunica che cosa è piaciuto ai nostri amici, con i quali, si suppone, abbiamo interessi in comune, e che quindi potrebbe interessare anche noi; le pagine Facebook offrono diverse interessanti opportunità in questo senso, tanto che diventa più redditizio promuovere singoli post anziché investire per acquisire nuovi followers alla pagina, anche e soprattutto in considerazione del fatto che le notizie delle pagine vengono tendenzialmente nascoste dagli algoritmi di Facebook, che riduce le viste "spontanee" proprio per "costringerci" a comprare la visibilità promuovendo i singoli post.
A questo proposito è bene ricordare che Facebook è gratis per gli utenti, che in effetti sono il suo prodotto, cioè quello che viene venduto alle aziende, alle quali è offerta, ovviamente a pagamento, la possibilità di raggiungere target segmentati e selezionati.
Anche i Tweet sponsorizzati e le Google Ad-words rappresentano forme di native advertising: in tutti questi casi, infatti, i contenuti vengono trasmessi in modo "armonico" rispetto ai contenuti di interesse, offrendo alle aziende lapossibilità di interecettare i lettori target in un modo potenzialmente meno aggressivo. I mercati sono conversazioni, sosteneva il Cluetrain Manifesto nel (già così lontano) 1999, e questo, nell'era dei social network, è più vero che mai.
Il problema è che su internet ci sono TROPPE conversazioni, ed è progressivamente sempre più difficile non sparire nella moltitudine: io stessa tengo un blog, in forma anonima, online da oltre cinque mesi. Non è promosso in alcun modo, nessun post è mai stato condiviso; non mi avvalgo di SEO, di categorie o di tag. Mi limito a scrivere e basta, senza nessuna promozione. Ebbene, il numero di visite quotidiane è pari a ZERO. Neppure un singolo visitatore ha avuto modo di capitare per sbaglio sulle mie pagine, segno inequivocabile dell'assoluta invisibilità dei contenuti che non vengano promossi in alcun modo, ma semplicemente pubblicati. Ci sono oggi, molti strumenti per farlo, ed i più efficaci sembrano essere proprio quelli percepiti come non invasivi e fluidi rispetto alla grande quantità di conversazioni in cui ci ritroviamo immersi quotidianamente.
E' bene sottolineare però anche un altro aspetto: il native advertising, pur integrandosi in forma ed aspetto con i contenuti normalmente offerti al lettore, è ben lontano dal rappresentare forme di pubblicità occulta: anche quando si verifica tramite post all'interno di blog, sia perosnali che professionali, su portali, magazine o riviste, è sempre indicato al lettore che si tratta di contenuti sponsorizzati, in piena trasparenza.
E' comunque pubblicità, ed è importante che il lettore ne sia informato, ma prevede un adeguamento della comunicazione stessa ai nuovi canali e strumenti, in modo da renderla più gradita e meno invasiva, nonché, potenzialmente, più efficace.
Questo, come anticipato nell'introduzione, offre l'occasione di formulare alcune riflessioni e domande: ad esempio, qual è la differenza tra il native advertising e le care, vecchie "markette" dei blog?
Qual è il confine tra native advertising ed influence marketing?
Inoltre, in considerazione della già notevole difficoltà di valutazione del ROI (ritorno sull'investimento) delle azioni di promozione sui social network, come valutare, scegliere ed agire in questo senso?
Quali sono i partner in grado di offrire un maggiore potenziale? Come, cosa e quanto aspettarsi da questo tipo di azioni, e come quantificare l'investimento, in termini di risorse economiche e anche di tempo, da dedicare a questo tipo di promozione? Che cosa si sta facendo attualmente, e cosa potrebbe essere fatto?
Cercheremo di proporre alcune riflessioni in risposta almeno parziale a queste domande nei prossimi post.
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