Il valore è un elemento per il quale non ci sono regole di marketing e strategie scritte. O almeno non ci sono regole da seguire a priori. E non è nemmeno così ovvio per tutti che c’entri con il web marketing, con il posizionamento, con il content marketing e con la SEO. C'entra anche con la realizzazione di un company profile, di un catalogo, di una fiera e di un'app. Ma in particolare modo c'entra con il web, dove, quasi sempre, non ci sono altre mediazioni fisiche, al di là del contenuto o pagina che lo presenta.

Ma il valore, per me, è al centro di ogni pensiero ben prima di presentare online qualcosa per qualcuno.

Che sia un contenuto originale che state sviluppando, una applicazione web all'interno di una pagina o un link che state condividendo sulla pagina di Facebook o di LinkedIn, quello che dovete chiedervi, prima di postarlo è:

“Sarà utile/dilettevole o divertente per gli utenti ai quali voglio parlare?” 

Pensate che spesso vi risponderete “Sì, il mio contenuto è di valore, darà qualcosa di unico ai lettori o agli utilizzatori della mia pagina” e dedicherete giornate a stilare il più bel contenuto o a programmare la più bella applicazione del mondo. Poi magari non se lo guarderà nessuno. Mentre altre volte, su contenuti sui quali siete scettici, potreste avere indici di interesse molto, molto alti.

L’esperienza ve lo dirà, con il tempo imparerete a cosa sono interessati maggiormente i vostri lettori e fruitori. Che poi diventa il modo migliore per prendersi delle condivisioni (se per me è stato utile o dilettevole ) o dei link da altri siti.

SEO vicenza

Perché, cosa cercano le persone quando condividono un contenuto? 

Dipende molto da quello che gli inglesi chiamano “social proof”, il riconoscimento sociale, il farsi belli, apparire utili, destare interesse negli altri, apparire quello che si è oppure no - poco importa, perché chi siamo veramente?

Tutti online, in qualche modo, in questi primi anni di socialità spinta su web, si stanno definendo un “personal brand”. Con social network come LinkedIn e Facebook la gente ha iniziato a presentarsi con nome e cognome online - ok, per fare altre cose continuano ad usare nickname e nomi falsi - ricostruendo la rete di connessione reali all’interno dei queste piattaforme. Ed espandendole, con contatti mai incontrati.

Un’intera generazione sta ridefinendo la sua identità sociale in uno spazio pubblico condivisione, senza limiti territoriali e di tempo. Quello che fino a 10 anni fa si faceva in piazza, al bar, a cena con gli amici, oggi trova una sua dimensione piena e transnazionale su Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn, forum settoriali, gruppi di di Whats’app e chi più ne ha più ne metta.

Ah, e, ovviamente, non è un’identità armonica e coerente. Su mezzi differenti costruiamo reti differenti e ci esprimiamo in modi differenti, andando a condividere materiale differente.

E l’elemento identificativo, il marcatore d’identità è quello che si condivide: i tuoi post sul social, i post deli altri, gli articoli sul tuo blog, news che trovi online, le foto che scatti…

Nella socialità fisica quello di cui parli ti qualifica. Anche nella socialità digitale. Quello di cui parli e  anche  quello che condividi. Che sarebbe un po’ quello di cui parli “per sentito dire”, se fossi al bar.

Che poi l’etichetta che ti costruisci online te la porti anche quando ti trovi con gli amici: un continuum tra i dati digitali e il sedersi a tavola in compagnia, con bistecca e birra, è quanto di più naturale ci sia oggi. Parliamo su Facebook della cena di ieri sera e delle battute fatte (in mondovisione) e a cena discutiamo su tizia che ha postato la foto con il suo nuovo marito.

In questa immensa produzione di dati tutti, in modo cosciente o meno, stanno elaborando un personal brand che li accompagnerà per un bel po’. Quando conosciamo un candidato al che vorrebbe lavorare per noi, un nuovo fornitore o un cliente, è diventato ormai frequente andare a cercarlo su Facebook o su LinkedIn per saperne di più. Se a cena ci troviamo  dei nuovi commensali, non c’è dubbio che andremo a vedere chi siano. Perché in un incontro fugace ti fai una prima idea. Ma scorrendo la sua vita digitale degli ultimi anni il quadro dovrebbe essere completo.

In tutto questo quadro sociale, cos’è che determina il valore del materiale che condividiamo?

Verrebbe da dire che dipende dai contesti vero? Eppure il valore ha un significato assoluto che li trascende. L’utilità dipende dai contesti ma che l’utilità del contenuto scritto o condivido è un principio che non ha compromessi nei differenti contesti.

Il contenuto utile

L’utilità, nella accezione del termine che stiamo dando, all'interno del contento del web marketing - è la percezione di possibile ritorno, tramite l’applicazione della conoscenza appena acquisita, che potrebbe generare nel lettore il vostro contenuto. Non necessariamente porta ad una vendita diretta. Anzi, quasi mai. Però accresce notevolmente la percezione positiva del brand (persona o azienda) che ha elargito queste informazioni in modo gratuito. Le aziende si sono buttate in massa su questo genere di contenuti - soprattutto la piccola e media azienda b2b - nell'incapacità di alzare il tiro del messaggio pubblicitario e lavorare su altre direzioni, come l’erotismo, l’umorismo o la curiosità.

Perché, diciamocelo, il contenuto utile è facile da produrre nel contesto aziendale: prendi il know-how tecnico che sta dietro al prodotto, prendi le casistiche dei problemi che i tuoi clienti hanno affrontato e costruisci delle faq di risoluzione generali.

Il che va benissimo, soprattutto perché questo tipo di utilità è rivolta proprio al target, ovvero a quelle persone che potrebbero diventare anche clienti dell’azienda che dispensa “utilità”.

E poi c’è un bene assoluto nel contenuto di valore utile, per l’azienda che lo produce e lo inserisce all'interno del suo sito web: viene cercato. E può essere trovato. Quindi, dal punto di vista della Search Engine Optimization, una manna.

Il contenuto di valore utile risponde alle domande, ai dubbi, alla voglia di conoscenza settoriale delle persone. Aranzulla - a livello generalista e di massa - ne ha fatto una scienza e una professione.

Accessi al sito di persone interessate alla dinamica, valore positivo sul personal brand che condivide conoscenza, aumento dell’esposizione del marchio…Perché non produrre contenuti di valore utile?

Su brand, sulle persone che popolano il social web come entità a sé stanti, non con una vocazione commerciale - e parliamo del 95%? tiro ad indovinare… - il concetto di utilità è limitato a meno e, soprattutto, riconducibile al loro lavoro. Più facile per un libero professionista condividere contenuti utili agli altri che non un impiegato di magazzino che su Facebook ci va per diletto alla sera.

Certo, personalmente, condividiamo contenuti, nell'idea che possano essere utili ai nostri amici, prendendo dagli argomenti più disparati, ma spesso non sono fonti controllate, non sono argomenti che dominiamo (quindi ampio spazio alle bufale, alle iperboli di blog che vogliono attirare visitatori ed attenzione, alle bugie interessate etc…) e non sono argomenti che ci definiscono, che ci etichettano come “quelli utili” in quel settore.

Tutti prima o dopo pubblichiamo qualcosa che pensiamo possa essere utile agli altri: l’informazione che siamo in coda in autostrada a causa di un incidente, la ricetta di un piatto molto buono o l’informazione sul ristorante dove abbiamo mangiato ieri sera, il numero di un conto corrente di Emergency per una catastrofe umanitaria o l’articolo del Corriere della sera che parla della settimana di maltempo che coprirà tutta l’Italia.

Anche questo articolo, all'interno del mio blog, rientra nella scia del marketing contenutistico per dare un valore di utilità settoriale. Però qui sono un libero professionista che si presenta come consulente SEO o consulente E-commerce vicenza. Su Facebook pubblico contenuti utili - a definire i contorni del mio personal brand - anche quando condivido news su un nuovo film in uscita, un libro che mi piace, la foto della mia famiglia…E’ l’immagine cosciente del percepito che voglio dare di me, che completa ed estende le argomentazioni prettamente lavorative che permeano il mio blog (vabbeh, a parte qualche trasgressione).

Il contenuto dilettevole o divertente

C’è un valore nel contenuto diverte? C’è un valore nel contenuto di svago? C’è del valore nel contenuto che coinvolge le passioni del lettore senza insegnare nulla?

Di più: c’è un valore di marketing in questi contenuti?

Indubbiamente sì. Visto che i legami sinaptici prodotti da associazioni erotiche o divertenti sono i più duraturi e, quelli divertenti sono associati ad una positività a 360°, perché così poche aziende producono o condividono contenuti divertenti? E se non proprio divertenti…contenuti per il tempo libero?

Ovvio, qui non parliamo dell’azienda che produce attrezzatura da sci e può postare interessanti contenuti che parlano delle difficoltà delle varie piste del mondo. Qui siamo più nel campo del “produco materie plastiche” e “parlo dell’ultima scatola per collezionisti prodotta dalla Lego”. O produco pompe e ci gioco sopra. Alle pompe. Sì, in quel senso. Con spirito e senza essere volgare. Boh, dipende. Si dai, avete capito di cosa parlo.

La piccola e media azienda ha paura di sbagliare. 

E’ molto più sicuro percorrere la via della fiera di settore in giacca e cravatta e con uno stand magnificente che fa sfoggio di prodotti che non presentarsi alla fiera con trampolieri e pagliacci, musica e saltinbanchi.

Ora: quale delle due situazioni ricordereste?

Se lo fanno gli altri: “hai visto? Una figata pazzesca, bravi”

Ma se dovete farlo voi: “chi noi? No, si pazzo? I nostri clienti non capirebbero”

Già, chissà perché se lo fanno gli altri è sempre un’idea stupenda, ma se poi lo calate all'interno della vostra piccola e media azienda diventa qualcosa che clienti, fornitori, dipendenti e proprietà non capirebbero. Meglio fermarsi all'esposizione di prodotti e, al massimo, far intravedere i muscoli della conoscenza interna, con un blog di settore che da sfoggio di sapere tecnico, una garanzia per i commerciali e i clienti. Oltre ai discorsi sul valore utile fatto sopra.

Ma il valore divertente, di svago è un grande valore per un contenuto.

Aiuta l’azienda ad avere una voce umana (e nell'epoca del web 2.0 e dei social la voce umana è quello che accomunale le persone che parlano) e a farla ricordare, associata a sensazione positive.

Ma il contenuto divertente - tranne pochi casi, come il brand Heineken (ed altri brand con rapporto diretto con il consumatore finale che si sentono forti e, grazie alle ricche consulenze/professionalità, capaci di osare) - è diventato territorio delle persone. Non tutti usano Facebook durante l’orario di lavoro. Non tutti hanno bisogno di Facebook o di un blog per rivendicare una professionalità. Il divertimento, il relax, lo scazzo e lo svago, nel tempo libero - e anche durante quello lavorativo - è una componente essenziale delle relazioni tra esseri umani.

Le riflessioni sul valore dei contenuti di marketing che un’azienda dovrebbe produrre, inquadrati all'interno di un programma editoriale e degli obiettivi di business, non è affatto una discussione che si esaurisce in questo post. E’ uno spunto.

Voi che ne pensate?

Vince l’azienda che elargisce know-how e funzioni utili o buonumore?